ci vorrebbe più sale, manca un aroma, però la cottura... poche regole per capire un pò di più...
Lezioni di gusto: viaggio tra bocca e cibo
A giudicare dall’attenzione attorno al cibo e al gusto possiamo dire che è iniziata l’era del “De gustibus disputandum est”, sui gusti si deve discutere…
- Perché ci piace quel che ci piace?
- Come fare per decifrare le più piccole sfumature sensoriali che il cibo ci può dare?
- E degustatori si nasce o si diventa?
Il gusto è il primo senso sviluppato dai neonati: è nei primi mesi di vita che si educa il palato ala varietà dei sapori, come dimostra una recente ricerca.
Ogni giorno c’è una nuova statistica. Con un tema comune: noi e il cibo.
Una dice che, per gli italiani, il cibo è al primo posto nella classifica dei piaceri, in cui il sesso è solo al terzo, dopo i viaggi. Un’altra indagine assicura che la donna sceglie il suo uomo a tavola, in base alla sua abilità di scegliere il vino, di abbinarlo con sicurezza al cibo e di sorseggiarlo con stile. Un altro studio svela la passione degli italiani per il cioccolato, specie se amaro,
Insomma ci siamo evoluti e la cucina, da luogo in cui si quietava il bisogno primario di nutrirsi, è diventata “tavola rotonda” attorno a cui si annusa, si osserva, si ascolta, si assaggia e si parla di cibo.
Perché tutto questo interesse per il nostro gusto e per i mille modi di soddisfarlo?
Vi portiamo con noi in questo viaggio del gusto e della degustazione perché, se “siamo ciò che mangiamo”, il cibo “buono” è un modo per migliorare la qualità della vita…
Siamo ciò che mangiamo
Del gusto siamo stati dotati biologicamente per motivi precisi. La natura ci ha messo nella bocca e nel naso gli strumenti per riconoscere buono e cattivo, gustoso e disgustoso. Così l’evoluzione ci ha portati a preferire il dolce, tipico di alimenti ad alto potere energetico e nutritivo, all’amaro, tipico di molte sostanze tossiche.
Secondo gli studiosi, la capacità di riconoscere istintivamente gli alimenti commestibili, e addirittura quelli curativi, risale alla preistoria ed è stata trasmessa fino ad oggi dalla tradizione. L’uomo sarebbe dotato di una memoria genetica che capisce, senza preventiva informazione, cosa gli fa bene e cosa gli fa male, tanto che i bambini in alcune regioni dell’Africa mangiano fango e terra quando hanno carenza di sostanze minerali. I sensi in passato erano però molto più acuti, mentre oggi siamo meno capaci di distinguere le sfumature del gusto…
La domanda quindi è: cosa ha portato alla morte dei sapori?
Diventiamo ciò che mangiamo
Oggi assistiamo a un progressivo appiattimento dei sapori e alla conseguente diminuzione della capacità percettiva. Pensiamo, ad esempio, all’atrofizzazione dell’olfatto, di cui è ritenuta responsabile l’industria.
L’inquinamento delle città ha sommerso le sfumature: il resto lo hanno fatto i circa 72mila additivi chimici che insaporiscono i cibi.
In Europa quelli autorizzati sono circa 300; molti di più negli Stati Uniti.
Tra questi, dilagano gli esaltatori di sapidità, usati abbondantemente in alcuni alimenti come salumi, filetti di pesce impanati e snack, che ci hanno assuefatto a gusti decisi. Preferiamo così gli aromi artificiali e usiamo la vaniglia artificiale (etilvanillina) al posto di quella naturale (vanillina) che è quattro volte meno forte.
Tanto fumo poco arrosto
L’industria non tralascia neanche l’importanza del suono del cibo: alcuni studi hanno accertato che più i cibi sono rumorosi, più ci piacciono. Così la Nestlé di Losanna (Svizzera) valuta il suono degli alimenti croccanti attraverso il “crostimetro”, alla ricerca del cronch ideale della cialda di un cono gelato che si spezza sotto i denti.
Dobbiamo chiederci se è possibile sottrarsi alla logica dell’illusione sensoriale con cui l’industria ci seduce e ,se si, come? Il recupero dei cibi legati alle tradizioni gastronomiche locali, al territorio e alla stagionalità, frutto di una agricoltura sostenibile, ci ha portati ad essere, fortunatamente, più consapevoli del valore dei sapori, piuttosto che dal suono che lo stesso produce.
Ognuno può educare e migliorare il proprio gusto? come?
Sentiamo ciò che mangiamo
Educare il gusto significa insegnare a scegliere i cibi più corretti, dal punto di vista nutrizionale, e più piacevoli, dal punto di vista gustativo. Ma significa anche scoprire che non si gusta solo con la bocca.
Con bocca, lingua e palato sentiamo solo i sapori primari, vale a dire dolce, amaro, salato, acido e glutammato (o sapore di brodo). L’intreccio sensitivo che si sviluppa quando mangiamo è in realtà ben più complesso.
Senza naso… non c’è gusto!
L’olfatto non interviene solo quando un alimento o una bevanda è avvicinata al naso, che ne percepisce profumi e odori. Il calore del cavo orale, i movimenti della lingua, la respirazione e la deglutizione convogliano nel naso le sostanze ingerite. La faringe crea una sovrappressione che sposta i vapori dalla bocca verso la cavità nasale: così sentiamo anche per via “retro-nasale”.
Nel caso della degustazione del vino, ad esempio, questa fase è fondamentale: la persistenza aromatica che impregna la bocca è chiamata “fin di bocca” o dopo-gusto e ci informa sulle caratteristiche del vino. Così il PAI è l’indice di durata della “persistenza aromatica intensa” di un vino che può durare da 2-3 secondi (per un bianco) fino a 10 (per un rosso strutturato). Il “fin di bocca” non deve essere confuso con il retrogusto, che ha piuttosto un’accezione negativa.
Anche l’occhio vuole la sua parte
Facciamo un esperimento: tappatevi il naso e bendatevi gli occhi; poi chiedete a un amico di farvi assaggiare un qualsiasi cibo. Risulterà più difficile distinguere una verdura o una frutta dall’altra, a dimostrazione che naso e lingua sono fortemente intrecciati. Basti pensare che l’informazione proveniente dalle papille gustative si dirige verso un’area del lobo temporale del cervello vicinissima a quella in cui è codificata l’informazione olfattiva.
La sensazione che ci dà il mangiare è frutto di un processo di interazione sensoriale, che tra l’altro include anche l’esame visivo, quello tattile e perfino uditivo. Osservando da vicino un olio, il colore ci dice il tipo, l’epoca di raccolta e l’invecchiamento delle olive, nonché il frantoio impiegato. Nel caso di un formaggio possiamo verificare al tatto la consistenza della pasta che può essere molle, semidura o dura, elastica, granulosa, untuosa o secca. Per il cioccolato è essenziale ascoltare il rumore secco della barra che si spezza fra le dita.
Scoperto come funziona il nostro apparato sensoriale, che cos’ha di speciale quello del degustatore professionista? E come si fa a diventarlo?
Degustiamo ciò che mangiamo
Tra degustatori della domenica, profani del doppio malto e amatori del salume felino, emerge su tutte la figura del professionista.
L’assaggiatore professionista possiede doti naturali particolari tanto che la sua lingua, per esempio, è dotata di papille gustative più numerose e più piccole della media.
La soglia di percezione è soggettiva. Per ciascun sistema sensoriale può essere definita la minima quantità di stimolazione che gli organi di senso sono in grado di rilevare, detta soglia assoluta. Per qualcuno quindi potrebbe bastare uno stimolo debolissimo per sentire qualcosa, mentre altri hanno una sensibilità più grezza.
Non ti scordar di me…
Non ci si scoraggi, però, perché un modo per affinare la propria sensibilità c’è e consiste nell’imparare a cogliere le minime differenze sensoriali, individuando la cosiddetta soglia differenziale, vale a dire la variazione minima di uno stimolo sufficiente a provocare due sensazioni diverse.
Per farlo occorre l’esercizio… e una buona memoria. Per la degustazione è fondamentale infatti imparare a interrogare il database della nostra mente, dove archiviamo sensazioni e percezioni passate: questo ci consente di attuare un continuo confronto, riportando a galla sentori già sperimentati.
Il gusto insomma non è ad esclusivo appannaggio della soggettività individuale. Esistono parametri oggettivi o codici che vanno individuati, comprendendo la fisiologia dei sapori, un lessico specifico per descrivere le proprietà fisiche e chimiche di un alimento e le tecniche di riconoscimento. Dove e come impararli?
Immergersi nei sapori, riordarli e chiamarli con il loro nome: questo il percorso ideale per chi vuole fare della degustazione un’arte.
Il degustatore deve saper descrivere ciò che sente con termini appropriati: così la storia della degustazione si è evoluta con l’arricchirsi di un glossario specialistico sempre più ricco, presente già nella Roma antica dove dettavano legge gli haustores, i primi sommelier.
Nel Settecento si è sentita la necessità di pubblicare glossari sempre più ampi: da quello redatto nel 1780 dall’agronomo Maupin, contenente 40 termini per indicare sapori diversi, fino a quello di Jullien che ne conteneva 70 e che, per primo, includeva il termine “tannino”, la sostanza che dà colore al vino e ne determina l’astringenza. Così potete sentir parlare di un vino un po’ “scontroso” se la sua tannicità è particolarmente forte.
A scuola di degustazione
Conoscere l’ABC di cibo e bevande (e non solo) è stato lo scopo dei 60 studenti che hanno partecipato nel 2004 al primo anno scolastico di scuola della nuova Università delle scienze gastronomiche. Questo ateneo, unico al mondo nel suo genere, era nato per volontà dall’associazione internazionale Slow Food, che dal 1989 promuove la cultura del mangiare e del bere bene, in collaborazione con la Regione Piemonte ed Emilia Romagna, dove sono state istituite le sedi. Gli studi, tra gli altri, vertevano su gastronomia, ma anche economia e marketing, puntando anche sull’apporto umanistico di sociologia, antropologia, storia. Poi ancora ecologia, comunicazione e tecniche di degustazione.
Insomma degustatori si diventa e quella della degustazione è un’arte che si impara…
– liberamente tratto da Focus e da un testo di Denis Rubini
agriturismi piacentini, bike nel piacentino, borghi piacentini, calendario piacentino, cartoline del piacentino, castelli piacentini, colli piacentini, colline piacentine, cultura piacentina, escursioni nel piacentino, eventi nel piacentino, eventi piacentini, foto del piacentino, guide piacentino, itinerari nel piacentino, itinerari piacentini, lungo po piacentino, mangiare piacentino, monti piacentini, mountain bike piacentino, in moto nel piacentino, nel piacentino, osterie piacentine, percorsi nel piacentino, personaggi piacentini, piacentino, piatti piacentini, ricette piacentine, ristoranti piacentini, scopri piacenza, specialità piacentine, storia piacentina, trattorie piacentine, trekking piacentino, val chero, val luretta, val nure, val tidone, val trebbia, valli piacentine, visit piacentino, visita piacenza, libri piacentini